Spelacchio

 

Una leggenda paesana narra che la Villa del Mulinaccio sia ancora abitata dai vecchi proprietari.

Chi parla di uno spirito femminile dai tratti aggraziati e gentili, chi invece parla di un vecchio proprietario altero ed iracondo.

Appoggiato alle transenne da cantiere che sostituiscono il vecchio e malandato cancello di entrata, mentre guardavo con attenzione e malinconia lo sviluppo delle erbacce tra le macerie del vialetto, mi sono sentito accarezzare da un venticello che sembrava un abbraccio.

Mi si è palesato così: Spelacchio.

Triste, avvilito, anche lui impelagato.

Con un guizzo di luce negli occhi mi ha parlato di come era bella la Villa quando era il cuore pulsante di un mondo contadino laborioso.

Aveva nostalgia anche del periodo del Castellano e della Castellana, che magari coltivavano pomodori, zucchine e rapacelli nel resede, che si erano appropriati di una stanza nelle cantine per conservare i prodotti alimentari, ma che comunque avevano una cura quasi ossessiva della Villa.

Si ricordava dei tanti volontari che, proprio in questi giorni, lo scorso anno si erano impegnati per togliere la mota e liberare il giardino e le cantine.

Scuoteva il capo e non capiva.

Da giugno doveva essere successo qualcosa di immondo.

Fino ad allora la Villa era rimasta aperta: la partenza e l’arrivo di una corsa podistica, una Santa Messa celebrata nel boschetto.

Sapeva dei 200 mila euro donati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Prato e si immaginava le iniziative: i matrimoni, la premiazione del Premio Letterario, il convegno sul pomodoro Borsa di Montone, la festa di Halloween, il Re Tartufo, il Dolce Stil Bono.

Da giugno nulla. Solo silenzio.

Non si era fatto vedere più nessuno come se ci si dovesse vergognare di qualcosa o si dovesse annullare la memoria di qualcuno.

Patetici.

Un altro soffio di vento leggero, il suo saluto, ma prima di tornare dentro si gira e mi dice: “diglielo a quei rintronati che, se non si muovono alla svelta, gli corro dietro con il correggiato”

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